logo

Certe foto non s’hanno da fare: quando lo sguardo diventa narrazione

Oltre le regole - Marco Tortato

Certe foto non s’hanno da fare

Salisbury Cathedral, UK“Or bene, – gli disse il bravo all’orecchio, ma in tono solenne di comando – questo scatto non s’ha da fare, né domani, né mai.”

Come capire se una foto vale la pena di essere scattata

Una delle domande più frequenti tra chi inizia a fotografare — ma anche tra molti appassionati esperti — è:
come capire se una foto merita davvero di essere scattata?
Qual è il segnale, l’illuminazione o l’intuizione che ci guida verso la “foto giusta”?

Non esiste una formula magica. Spesso, nella fretta e nella confusione emotiva del momento (amplificata dal digitale), finiamo per fotografare qualsiasi cosa che ci colpisca o ci emozioni.
Ma attenzione: proprio quelle emozioni che sembrano “ispirarci” possono, in realtà, sabotarci.

Quando l’emozione tradisce la fotografia

Potrebbe sembrare un paradosso, ma l’eccesso di fiducia nell’emotività è uno degli ostacoli principali alla buona fotografia.
Una sensibilità non ancora allenata, o non filtrata dall’esperienza, rischia di farci scattare per impulso, senza una vera intenzione visiva.
Il risultato? Foto che piacciono solo a noi, ma che non comunicano nulla a chi le guarda.

È proprio l’ansia di “cogliere l’attimo” che spesso porta a scattare senza pensare. E quando si fotografa senza pensare, si finisce per registrare momenti, non per creare immagini.

Gli “scatti del rimpianto”: quando il fotografo si autoassolve

Durante i corsi o nei commenti online, sento spesso gli autori giustificare i propri scatti con formule del tipo:

“Se avessi potuto…”
“Se ci fosse stato…”
“Se avessi avuto…”

Questi “se” sono la spia di una consapevolezza nascosta: sapevamo già che la foto non avrebbe funzionato, ma abbiamo scattato comunque.
È l’illusione di poterla “aggiustare in post”, o di salvarla con un ritocco.
Così si accumulano centinaia di file inutili, e si perde di vista ciò che conta davvero: la scelta.

Allenare lo sguardo a non scattare

Saper fotografare non significa solo scegliere come scattare, ma anche quando non farlo.
Allenarsi a rinunciare consapevolmente è una delle competenze più mature del fotografo.
Capire che la luce non funziona, che la scena non racconta nulla o che la propria emozione è più forte della visione, è segno di crescita, non di debolezza.

Spesso, lo scatto “mancato” è la forma più alta di fotografia consapevole.

Summer Solstice Stonehenge UKQuando lo sguardo diventa narrazione

Il momento giusto per scattare arriva quando ciò che si svela al nostro sguardo si trasforma in narrazione.
Quando vediamo qualcosa che, dentro di noi, si organizza in un’idea, una storia, un pensiero profondo.
È in quel passaggio — tra ciò che vediamo e ciò che significa — che nasce la fotografia autentica.

Quella narrazione può essere semplice o complessa:
dal racconto di un colore o di una forma che ci colpisce, fino alla costruzione di un intreccio più profondo, fatto di relazioni, memorie o simboli.
Non è la grandezza del tema a renderla significativa, ma la chiarezza dello sguardo che la coglie.

Ed è qui che avviene la svolta decisiva:
non dobbiamo emozionare con le nostre emozioni, ma con la storia che le ha provocate.
Non è il sentimento in sé a essere comunicabile, ma la causa che lo ha generato — quella combinazione di luce, gesto, silenzio o dettaglio che ha acceso in noi il pensiero dello scatto.
Solo così la fotografia diventa linguaggio, e non sfogo.

La trappola della bellezza: la cupidigia visiva

Sono veneziano, e so bene quanto sia facile lasciarsi sedurre da una città che offre scorci meravigliosi a ogni passo.
Ma proprio Venezia mi ha insegnato la lezione più importante: non tutto ciò che è bello va fotografato.

La cupidigia visiva — quel desiderio di “portare a casa” ogni immagine — è una forma di bulimia percettiva.
Ci spinge a confondere la bellezza con il significato, l’immagine con la visione.
E così, invece di fotografare il mondo, finiamo per collezionare superfici.

Conclusione: la voce del “bravo” interiore

Ogni fotografo dovrebbe avere dentro di sé una piccola voce, ferma ma gentile, che sussurra:

“Questo scatto non s’ha da fare, né domani, né mai.”

Non è censura, è discernimento visivo.
È ciò che distingue l’occhio che guarda da quello che vede.
E, a lungo andare, è proprio questa voce che ci rende autori, non semplici registratori di immagini.

Comments are closed.