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Le regole non esistono in fotografia (e perché è un bene)

“Non inclinare l’orizzonte.”
“La luce deve sempre venire da sinistra.”
“Il soggetto va messo sui terzi.”

Bene. Adesso dimentica tutto.

In fotografia si sente spesso parlare di regole. Le chiamano “regole di composizione”, “regole della buona luce”, “regole di stile”. Sembrano venire da un’antica tavola sacra scolpita da Cartier-Bresson in persona. E forse funzionano, almeno in parte. Ma spesso finiscono per irrigidire più che aiutare.

Io, personalmente, le regole le ho sempre sopportate poco. E ho imparato che non sono il cuore della fotografia. Non dico che siano inutili — anzi, capirle è importante — ma sono un punto di partenza, non di arrivo. E quando diventano schema fisso, gabbia, scorciatoia per non pensare… allora è il momento di fare un passo di lato. O di rovesciare la tavola.

Le regole servono a chi ha fretta

Seguire le regole ci fa sentire al sicuro. Ci dà l’illusione che basti applicare una formula per ottenere una “bella foto”. E in effetti, qualcosa viene fuori. Ma quanto ci somiglia, davvero?

Molti dei miei studenti si avvicinano alla fotografia cercando “il trucco”. Vogliono sapere cosa fare per avere foto giuste. Poi scoprono che la fotografia non è una somma di istruzioni: è una scelta continua. È dire qualcosa con l’inquadratura, non compilare una checklist.
E qui iniziano i dubbi. Che sono esattamente ciò che cerco di seminare nei miei corsi.

Le regole non sono sbagliate. Ma vanno capite per davvero.

Prendiamo la regola dei terzi. Non è sbagliata. Anzi: offre una struttura ordinata, gradevole, che spesso restituisce equilibrio e armonia. Funziona. Ma non perché “funziona sempre”, né perché il soggetto, messo su quel famoso incrocio tra linee immaginarie, diventa magicamente più visibile.

La verità è che la visibilità in fotografia non dipende dalla posizione nello spazio, ma da un insieme di fattori: contrasto, luce, saturazione, isolamento, tensione narrativa.
Una piccola area chiara, in mezzo a uno sfondo scuro, attirerà più attenzione di un soggetto perfettamente allineato con la griglia dei terzi.

La fotografia, da questo punto di vista, non è una formula fissa. È più simile a sasso-carta-forbice: nessun elemento è “più forte” in assoluto. Ma può esserlo in relazione a ciò che lo circonda. A volte vince la luce. A volte vince la posizione. A volte vince il gesto, il tempo, la relazione tra elementi.

E allora non si tratta di seguire o rompere le regole, ma di capire perché certe cose funzionano. E soprattutto: se funzionano per quello che stiamo cercando di dire.

Le regole possono essere pericolose (soprattutto quelle infrante male)

C’è anche il rovescio della medaglia: la trasgressione meccanica. Quella che porta a inclinare l’orizzonte “per dare dinamicità” (senza sapere cosa significa), o a tagliare le teste “perché è più artistico”.
Insomma, la regola del “rompere le regole”. Che è una regola anch’essa. E pure stanca.

Le regole diventano pericolose quando non sono più strumenti, ma stampini. Quando copiano invece di costruire. Quando vengono usate per sembrare creativi, non per dire qualcosa di autentico.

Quindi, cosa fare?

Non sto dicendo che dobbiamo improvvisare o sparare a caso.
Sto dicendo che bisogna capire le regole per poterle superare.
E soprattutto, bisogna porsi delle domande.

  • Cosa voglio raccontare con questa immagine?

  • In che modo l’inquadratura, la luce, il taglio, il gesto parlano del mio soggetto?

  • Sto usando uno schema perché mi serve, o perché ho paura di sbagliare?

Quando una foto nasce da una domanda vera, anche se rompe ogni “regola”, ha senso. E si sente.

Una fotografia che funziona non è quella che rispetta le regole.

È quella che ti parla.

Questa è la fotografia che m’interessa insegnare. Quella che ha una voce propria, non una costruita per bene. Quella che nasce da una posizione mentale, non da una griglia.

Nei miei corsi lo dico spesso: “Le regole non esistono. O meglio, esistono fino a quando non trovi una ragione valida per romperle.”
È lì che comincia la fotografia che vale la pena guardare.

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